Enogastronomia

In passato, l'identità dei settimesi era legata soprattutto alla produzione e al consumo delle cicerchie, così come dice anche un vecchio detto: settimesu pappa piseddu, mangiatore di cicerchie appunto, un legume ormai dimenticato per via delle sue scarse proprietà nutrizionali. In realtà, grazie al clima mite, all'esposizione al sole e al vento di maestrale, che soffia per la maggior parte dell’anno, e alla speciale composizione del terreno – prevalentemente ciottolosi e calcarei – l’area di Settimo ha sempre avuto una vocazione per la coltivazione della vite, ed in modo particolare per la Malvasia, che un tempo è stato il vino principe della provincia di Cagliari.

Già nel XIX secolo, Goffredo Casalis, nel suo Dizionario Geografico degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, riportava in proposito: “La vigna è prospera e matura bene i suoi frutti. La vendemmia suol essere abbondante e il vino, se manipolato bene, riesce di molta bontà”.

Nonostante oggi la superficie vitata sia di molto diminuita, la classe dei vini rimane qualitativamente pregiata, sottolineando una propensione alla produzione vitivinicola che affonda le proprie radici in modo profondo nel passato del nostro territorio.

La Malvasia di Settimo, il cui vitigno fu impiantato in epoca Bizantina, risulta essere caratterizzato da un colore giallo paglierino con sfumature tendenti al dorato, dal profumo inconfondibile di mandorle e dal gusto asciutto che può essere dolce o secca, in base alla lavorazione e al tipo di suolo su cui viene coltivata. Si tratta di una Malvasia che si adatta bene come aperitivo, ma può anche essere un ottimo passito da accompagnare ai dolci tipici della zona, specie nelle occasioni di feste. In ogni caso sono meritevoli di nota anche altri vini come Vermentino, Monica e Nuragus, sapientemente lavorati da mani esperte, che attingono da un sapere antico tramandato di generazione in generazione e che hanno portato il paese a far parte a buon diritto degli itinerari culturali delle Strade del Vino, volti ad indirizzare il visitatore verso la buona cucina e l'ottimo vino.

Settimo è particolarmente noto anche per la sua produzione di pane tradizionale quotidiano e di pani cerimoniali di semola di grano duro – vera espressione d’arte bianca, la cui straordinarietà è ribadita da ricami e fogge particolari. Il pane cerimoniale viene confezionato solo con sa símbula, una farina pregiata che si differenzia da su scétti, usata invece per preparare il pane del consumo giornaliero, detto civráxiu. La preparazione dei pani cerimoniali richiede parecchio lavoro e una notevole capacità, poiché i coccóis riescono tanto più teneri quanto più la pasta viene lavorata.

Fra le forme di pane tipiche di Settimo che meritano menzione è d’obbligo ricordare il coccói de ispossus, proprio delle occasioni matrimoniali. Parimenti, su coccói froríu è il pane rituale confezionato per la festività pasquale, ricco di ricorsi stilistici e particolarmente elaborato. Tipico delle festività proprie della Settimana Santa, invece, è su coccói cun s’ou, altrimenti noto come coccoeddu ‘e Pasca, un pane caratterizzato dalla presenza di un uovo racchiuso nella pasta minuziosamente lavorata, che va poi infornato e cotto unitamente ad essa. Meno raffinato e comunque tipico del periodo quaresimale e della Pasqua è sa piccionédda, un pane raffigurante un piccione con un uovo sul dorso, che in passato veniva donato spontaneamente ai bambini senza particolari rituali. In altri momenti dell’anno, al contrario, per ricevere il pane i bambini erano tenuti a chiederlo espressamente durante i loro giri di questua, con canti e formule tipiche regolate dalla tradizione, come avveniva per esempio in occasione della Commemorazione dei defunti.

Alla produzione domestica, oltre al pane, erano affidate anche la preparazione dei malloreddus (gnocchetti sardi) e dei tallarinus (tagliatelle) fatti a mano seguendo una antica tradizione.

Riguardo ai dolci tipici di tutta l’area del Campidano, vale la pena ricordare che sono tutti elaborati usando ingredienti genuini come sapa, mandorle, ricotta, cioè tutti tipici del territorio della provincia. Sono sempre confezionati da mani femminili esperte secondo la tradizione del paese. Fra i più diffusi si ricordano:

  • Pabassinas generalmente preparate in autunno per i bambini, in occasione della festa di Ognissanti, sono dolci di pasta frolla, mista a uvetta, mandorle e noci tritate, ricoperte di una sottile glassa che viene decorata superiormente.
  • Amarettus rappresentano una autentica delizia per il palato. Si tratta di dolci soffici, composti da ingredienti genuini, e con un gusto particolarmente delicato che deriva dalla giusta combinazione di mandorle dolci e amare, a cui si aggiungono albumi e scorza di limone grattata.
  • Gueffus sono delle saporitissime sferette, non più grandi di una noce, dalla forma lievemente schiacciata, composta da mandorle tritate, zucchero, limone e acqua di fiori d'arancio. Vengono confezionati con della carta velina colorata dalle estremità sfrangiate, similmente alla forma delle caramelle.
  • Pardulas sono i dolci preparati in occasione della Pasqua. Sono caratterizzati da un disco soffice di pasta con orli lavorati, ripiena di formaggio pecorino fresco o ricotta, addolcito con zucchero, aromatizzato con zafferano e vaniglia, con l'aggiunta di scorza di arancia tritata.
  • Piricchittus, tipici del Campidano, sono fatti di una pasta omogenea di uova, olio d'oliva e farina, ricoperta da una glassa di fatta con zucchero, limone e arancia, tanto da renderla simile a una palla di neve.
  • Bianchinus sono dei dolcetti dalla forma di cono allungato, di colore bianco candido, costituiti da una pasta friabile leggerissima di albume montato e zucchero che racchiude un delicato interno di mandorle tostate.
  • Pastissus sono dolci tipici delle ricorrenze più importanti – battesimi e matrimoni –, a forma di “vaschette” e caratterizzati da un impasto morbido, ricoperto da una glassa ulteriormente abbellita da decorazioni.
  • Pan ’e saba è un dolce molto originale e gustoso, legato alla cultura contadina. L'ingrediente principale è la sapa, ottenuta facendo cuocere per almeno dieci ore il mosto di uva bianca, fino ad ottenere una melassa, la quale viene poi unita alla pasta lavorata, allo zucchero, alle mandorle, all’uvetta sultanina e ad altri aromi come la scorza di arancia candita.

Data di ultima modifica: 24/03/2017

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